Verso le rovine di Čevengur by Unknown

Verso le rovine di Čevengur by Unknown

autore:Unknown
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2023-05-02T00:00:00+00:00


VIII. AI PIEDI DI ŚAMBHALA

Per quanto possa apparire bizzarro, le rappresentazioni mitiche del misterioso regno montuoso di Śambhala, situato non si sa dove in Tibet, hanno tutte origine europea e trovano la loro esposizione più dettagliata, verso la fine dell’Ottocento, negli scritti della società dei martinisti1 – una società «mistica» e «segreta», come volevano le leggi e gli umori dell’epoca. In Russia le opere dell’esoterista Papus, fondatore dell’Ordine, godevano di grande notorietà. Inoltre, sempre in quel periodo, nel 1899, il conte Valerian Valerianovič Murav’ëv-Amurskij, che era stato ammesso nella società a Parigi, tornò a Pietroburgo e fondò una loggia nella capitale dell’Impero.

Ma la vera storia di Śambhala era già cominciata nel febbraio del 1893 con la Nota di Badmaev ad Alessandro III sugli obiettivi della politica russa nell’Est asiatico, dove si illustra con dovizia di particolari il processo di colonizzazione portato avanti dalla Russia in Oriente, nonché la possibilità di annettere all’Impero Mongolia, Cina e Tibet.

Alessandro III rimase profondamente impressionato. Dal 1793 il regno montuoso del Tibet era inaccessibile agli europei. Tuttavia, sosteneva Badmaev, in Mongolia credono che, sette secoli dopo la scomparsa di Gengis Khan, sul paese verrà innalzato un vessillo bianco e la loro terra passerà nelle mani di un Imperatore Bianco, identificabile con lo zar russo. Leggende tibetane analoghe ma ancora più inverosimili affermavano che l’Imperatore Bianco non fosse che una delle incarnazioni della dea Dara-ehe, protettrice della fede buddhista, e che tale incarnazione fosse chiamata a placare gli animi degli abitanti dei paesi settentrionali. «Lo zar russo è l’ideale per i popoli d’Oriente» affermava in conclusione la nota.2

Il suo autore, Pëtr Aleksandrovič Badmaev, consigliere di corte nonché studioso originario della Buriazia ed esperto di medicina orientale, riferisce informazioni bizzarre e non troppo credibili – e tali parvero anche ad Alessandro III. Ma lo zar rimase ancora più sorpreso scoprendo che, nella geografia mistica del Tibet, proprio la Russia era considerata la Śambhala Bianca del Nord. L’incontro di queste due geografie mistiche non poteva che essere foriero di conseguenze per la Russia. Sì, ma quali?

Le vere e proprie iniziative coloniali dell’Impero russo avevano interessato sulle prime l’Estremo Oriente. Con la fondazione di Port Arthur nel 1898, il teatro principale della politica coloniale zarista si spostò in Manciuria – ben lontano dunque dal Tibet. Il possesso di un’importante base navale con accesso diretto all’Oceano Pacifico forniva alla Russia incontestabili vantaggi strategici, ma comportava anche il rischio di un conflitto. E infatti alla fine la guerra scoppiò e si concluse con la disfatta di tutte le imprese militari zariste in Oriente. Il paese, su cui il peso di quella batosta senza precedenti si era rovesciato tutt’a un tratto, fu investito per la prima volta da un’ondata rivoluzionaria. Mai come negli anni successivi alla rivoluzione del 1905 il misticismo prosperò tanto sul suolo russo. È proprio allora che nei cenacoli mistici dell’élite risorge il mito di Śambhala, «il paese inaccessibile situato sulle montagne dell’Himalaya, popolato da veggenti e profeti di cataclismi politici, mahatma che vegliano su città scavate nella roccia...».



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